<i>Cognitive applicability. The Natural History of the Unicorn from Ctesias to TV News</i>
DOI:
https://doi.org/10.15160/1826-803X/606Abstract
Le storie naturali degli antichi non possono essere considerate, in senso stretto, testi tecnici. In esse, solo raramente si presenta il problema del passaggio dalla regola o dall’istruzione scritte alla messa in pratica nell’ambito della realtà extra-linguistica. Tuttavia anche per questa tipologia di opere si può parlare di un problema di “applicabilità” che potremmo definire “cognitiva”. Questi testi in genere utilizzano una serie di strategie del discorso sostitutive delle immagini e delle illustrazioni (similitudini, analogie) che servono a rendere visualizzabili una serie di esseri “invisibili” (o talvolta inesistenti) come quelli che si trovano, ad esempio, nelle eschatiai. Si tratta, appunto, di capire se – e quando, e come – queste descrizioni sono “applicabili”. Un esploratore che si trovi per le mani, ad esempio, i brani di Plinio che descrivono il camelopardo o il corocotta, riuscirebbe a riconoscerli se dovesse, per caso, avvistarli? Esemplare è in tal senso la vicenda dell'asino indiano unicorno. Dopo essere stato menzionato da Erodoto (IV 191 e VII 86), l'animale viene descritto per la prima volta da Ctesia (FGrHist 688 F. 45) come un ferocissimo essere a forma equina con un solo corno policromo sulla fronte. Il tipo cognitivo di quello che era verosimilmente un animale fantastico che il medico di Cnido aveva visto raffigurato alla corte del re di Persia finirà tuttavia, nel corso della storia dell’Occidente antico e moderno, per subire diverse variazioni e, di conseguenza, per essere “applicato” a referenti extralinguistici – reali e immaginari – di varia foggia e natura.