Seduti a lavorare attorno al fuoco: un tentativo di riconoscere aree di attività in una porzione di suolo d’abitato ben conservata a Riparo Tagliente (Verona, Italy)

Autori

  • Diana Carolina Chavez Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche
  • Alfredo Donadio Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche
  • Fabio Cavulli Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Lettere e Filosofia
  • Federica Fontana Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche
  • Ursula Thun Hohenstein Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche
  • Maria Chiara Turrini Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche
  • Davide Visentin Università degli Studi di Ferrara, Dipartimento di Studi Umanistici - Sezione di Scienze Preistoriche e Antropologiche

DOI:

https://doi.org/10.15160/1824-2707/1557

Abstract

Riparo Tagliente si trova in Valpantena nei Monti Lessini (Stallavena di Grezzana, Verona). Le ricerche archeologiche condotte dal 1962 hanno messo in luce una potente serie stratigrafica composta di due principali depositi. Il presente lavoro riguarda il deposito superiore formatosi nel Tardoglaciale, che documenta una frequentazione di lunga durata durante l’Epigravettiano recente (17.000-13.500 cal BP). Nello specifico si concentra sui livelli più recenti del settore sud della serie interna, ovvero l’area sottostante l’aggetto roccioso (datati a circa 14.500-13.500 cal BP), mentre i precedenti lavori si erano focalizzati sui livelli più antichi del settore nord (Fontana et alii 2008; 2009; in stampa).
Poiché la maggior parte dei depositi localizzati nella parte interna del riparo furono rimossi in epoca medievale, questi livelli si sono conservati solo su un’area ridotta. Inoltre, risultano parzialmente disturbati da fenomeni post-deposizionali. In particolare, lo studio in oggetto riguarda l’US 616 che si trova in un’area adiacente a un focolare parzialmente distrutto. La conservazione di questa unità appariva eccellente con tutti i reperti ancora in giacitura orizzontale, sebbene si estendesse su un’area limitata di circa 1 mq, proprio all’imboccatura del riparo e a meno di un metro dalla sua volta. I reperti di maggiori dimensioni sono stati coordinati sul campo prima di essere raccolti. Si tratta di 258 reperti litici, 99 ossa, 29 ciottoli, 11 placchette calcaree, due delle quali con tracce di ocra; quelli più minuti sono stati recuperati durante le operazioni di setaccio e vaglio del sedimento proveniente da quadranti di 33x33 cm.
Questo lavoro è finalizzato a impostare un protocollo metodologico per identificare i processi naturali e culturali responsabili della formazione di questa unità stratigrafica, che evidentemente corrisponde ad un lacerto di un più ampio piano di calpestio. Sia l’insieme litico sia i reperti osteologici dell’US 616 sono stati analizzati in toto, applicando rispettivamente un approccio tecno-economico e uno archeozoologico, successivamente integrati mediante l’analisi della distribuzione spaziale in ambiente GIS.
L’insieme litico si compone di 240 manufatti diagnostici per la ricostruzione delle catene operative associati a 293 schegge inferiori ai 10 mm e 1486 frammenti indeterminati. Sul 30% dei reperti sono state identificate alterazioni termiche. La rilevante presenza di lame non ritoccate associata ad alcuni supporti ritoccati, suggerisce che questi elementi possano essere stati impiegati per attività domestiche condotte in quest’area. Le analisi funzionali per verificare il tipo di utilizzo di questi manufatti sono ancora in corso.
Lo studio dei resti osteologici provenienti dall’US 616 ha riguardato sia i reperti coordinati sia quelli non coordinati. I risultati di queste analisi hanno consentito di stabilire che i resti di ungulati si sono accumulati in seguito ad un intensivo sfruttamento antropico delle carcasse finalizzato a macellare, disossare, disarticolare (strie e raschiature) e fratturare le ossa lunghe per recuperare il midollo (impatti e coni di percussione). Il cervo, seguito dal capriolo sono i taxa dominanti in questa US, essendo le prede più facilmente reperibili nelle zone limitrofe al riparo.
Infine, sono state elaborate le mappe di distribuzione dell’industria litica e delle ossa per identificare possibili aree dedicate a specifiche attività utilizzando AutoCAD 2013 e il software open source QGIS 2.18.9 - Las Palmas. I dati sono stati acquisiti da ortofoto, planimetrie e files di coordinate oltre che da shapefiles creati durante precedenti lavori. Sebbene la superficie analizzata sia di ridotte dimensioni e ci imponga una certa cautela nell’interpretare i dati, sono state individuate alcune aree di concentrazione dei reperti litici, ossei e degli elementi combusti che suggeriscono un uso differenziato dello spazio verosimilmente da porsi in relazione con la presenza del focolare. Considerando la scarsa elevazione della volta rocciosa nell’area studiata e la presenza dell’area a fuoco è lecito ritenere che il deposito sia da riferire ad attività domestiche svolte da un piccolo gruppo di persone sedute intorno al fuoco, fonte di luce e di calore.

 Sitting and working around a fireplace: an attempt to identify spatial organization from the portion of a well-preserved domestic area in Riparo Tagliente (Verona, Italy)

Tagliente rock-shelter is located in the Lessini Mountains (Stallavena di Grezzana, Verona) along the Pantena Valley. Archaeological research carried out since 1962 has revealed a thick stratigraphic sequence composed of two main deposits. The present work deals with the uppermost one that formed during the Lateglacial attesting a long-lasting Late Epigravettian occupation (17,000-13,500 cal BP). More specifically it focuses on the most recent layers of the inner series from the Southern sector (with an approximate age of 14,500-13,500 cal BP) while all previous works had concerned the oldest levels of the Northern sector (Fontana et alii 2008; 2009; in press).

Since the greatest portion of the innermost deposits was removed in medieval times such layers are preserved only in a small area. Moreover, part of them is deeply affected by post-depositional disturbance. In particular, this study concerns SU 616 which lied close to a partially destroyed fireplace. Its preservation appeared excellent with all the findings still lying in a horizontal position although it extended over a small area of around 1 m2 located at the entrance of the shelter and less than one meter from its roof. The largest elements of the unit were coordinated in the field before being removed (n. 258 lithic implements and n. 99 osseous remains, 29 pebbles, 11 limestone clasts, two of which were characterized by traces of ochre) while the finest ones were collected during water sieving of the sediments by squares of 33x33 cm.

The aim of this paper is to set a methodological protocol aimed at identifying the natural and cultural processes responsible for the formation of this layer, apparently corresponding to the well-preserved portion of a larger domestic area. Both the lithic assemblages and the osseous remains from SU 616 were integrally analyzed by applying respectively a techno-economic and zooarcheological approach and then integrated into a spatial distribution analysis carried out with GIS.

The lithic assemblage is composed of 240 items diagnostic for the reconstruction of reduction sequences along with 293 flakes smaller than 10mm and 1486 undetermined fragments. Thermic alteration was identified on 30% of the findings. The meaningful presence of unretouched blades in the assemblage (n. 38) associated to some retouched tools suggests that such items could have been used for domestic activities carried out in this area. A functional analysis is in progress in order to verify the possible use of such artifacts.

The analyses regarding the osseous evidence included both the coordinated and the uncoordinated material recovered within the SU 616. As a result of these analyses, it was established that the ungulate remains were accumulated after an intense human exploitation on the carcasses, aimed at butchering, filleting, disarticulating (cut-marks and scraping) and fracturing bones in order to recover the marrow (impact notches and percussion cones). The taxa Cervus elaphus, followed by the Capreolus capreolus are the dominant species in this assemblage and the most easily available game in the surroundings of the rock shelter.

At last distribution maps of lithics and bones were designed in order to identify possible activities zones. The programs used were AutoCAD 2013 and the open source software QGIS 2.18.9 - Las Palmas. Information was uploaded from orthophotos, field maps, and coordinates as well as from shapefiles created during previous works. Although the small surface analyzed forces us to retain results with caution, areas of concentration of lithics, bones and burned elements were identified suggesting a differential use of the space and a possible relation with the fireplace. Due to the location of the analyzed area, we may also assume that Late Epigravettian hunter-gatherers carried out such activities while sitting around the fireplace.

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Pubblicato

03-02-2018

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Sezione

Proceedings