Industrie litiche Musteriane nella sequenza loess-paleosuoli di Monte Netto (Brescia)

Autori

  • Davide Delpiano Università di Ferrara
  • Stefano Bertola Università di Ferrara
  • Mauro Cremaschi Università di Milano
  • Marco Peresani Università di Ferrara
  • Andrea Zerboni Università di Milano

DOI:

https://doi.org/10.15160/1824-2707/1494

Abstract

I depositi loessici del nord Italia sono archivi paleoambientali ben rappresentativi per l’area padano-alpina e di importanza chiave poiché ben databili con metodi radiometrici. In più, in molti casi le sequenze includono suoli con materiali archeologici, prove dirette di un antico popolamento umano della zona, che possono essere messi in relazione alle alterne fasi climatiche che caratterizzano il Pleistocene medio e superiore.

È il caso ben noto delle coltri di loess presenti nel pedeappennino Emiliano-Romagnolo, ricche di industrie litiche e soggette a ripetute indagini stratigrafiche ed archeologiche (Cremaschi et alii 2015). Meno noto è il caso del Monte Netto, rilievo isolato di natura tettonica nella Pianura Padana, posto a circa 8 km a SW di Brescia e ricoperto da sedimenti loessici; è qui segnalato il rinvenimento di reperti litici non pienamente in contesto fin dagli anni 70 (Cremaschi 1974), ma solo ultimamente la collina è stata interessata da nuove indagini che hanno permesso di definire le fasi di sedimentazione eolica, lo sviluppo di paleosuoli e di ottenere datazioni in luminescenza (OSL) della sequenza (Zerboni et alii 2015); durante le indagini sono stati ritrovati alcuni manufatti in pietra scheggiata, riferibili a due distinte occupazioni molto lontane nel tempo (Fig. 1).

L’esame dei reperti stratigraficamente più alti, numericamente più consistenti e coperti da un deposito loessico datato 44.4 ± 4.5 ky, rivela un’adozione pressoché esclusiva del metodo di scheggiatura Levallois orientato principalmente all’ottenimento di prodotti allungati e con margini taglienti rettilinei e paralleli (Fig. 2). Il buon numero di strumenti ritoccati (1/3 del totale) si riferisce a raschiatoi semplici o doppi confezionati su questo tipo di supporti o raschiatoi trasversali su schegge Levallois corte. I reperti provenienti dalla porzione basale della sequenza stratigrafica, probabilmente riferibile al MIS5, sono troppo pochi per avanzare considerazioni tipologiche. Tuttavia un’analisi delle materie prime mostra un netto cambiamento: in un primo momento vi è lo sfruttamento di quarziti, mentre nella fase tarda viene utilizzata una vasta gamma di selci provenienti dalla formazione del Medolo, della Maiolica e del Gruppo Selcifero Lombardo.

Alla luce di questi dati, confronti diretti emergono con la fase finale del Paleolitico medio indagata nella vicina regione veneta; in particolare, in un contesto differente per occupazione del sito e disponibilità di materie prime, a soli 60 km di distanza in linea d’aria si apre la cavità di Grotta di Fumane la cui sequenza racchiude livelli analoghi per cronologia e comportamento tecnologico (Peresani et alii 2013, in press). In definitiva, i pochi manufatti di Monte Netto sono tuttavia significativi nel contesto del comportamento tecnologico degli ultimi Neandertal dell’area padana, in cui emerge sistematicamente la tendenza ad ottenere supporti laminari.

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Pubblicato

03-02-2018

Fascicolo

Sezione

Proceedings